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  • Immagine del redattoreSara Altafaj Cotrufo

FOGLI SPARSI - cap.10

Aggiornamento: 19 mar 2023

Versi frammentati d’un universo a matita. Ecco ciò con cui rimango.

Accasciata sul pavimento, fisso i fogli che sono intorno a me. Nessun legame che li unisca, se non le mie correzioni apportate a piè di pagina. Sembrano pennellate fatte da un artista, una addosso all’altra: si rincorrono, ma i miei occhi stanchi non riescono a seguire quella corsa. Vagano, saltano. Non ubbidiscono al mio disperato comando, al mio ordine delirante di aspettare anche solo per un attimo.

Poco più in là, le matite: sono una più corta dell’altra, consumate dal mio furore e dalla frenesia del tracciare linee contigue. Una è nera, l’altra è grigia, ma vorrei che ritraessero azzurre cascate, verdi pendii e rossi fiumi di sangue. Vorrei uscissero dagli schemi per crearne di loro; vorrei che lasciassero la mia mano e volteggiassero nella stanza, scrivendo la storia della mia vita affinché io ne possa capire qualcosa.

Mi alzo a prendere gli occhiali: sono appannati e non mettono a fuoco il mondo che mi circonda. Mi fermo un attimo.

Voglio davvero vedere?

Se li mettessi, apparirebbero vizi, difetti, spregi, voci; ma anche gioie, emozioni, sorrisi, qualità. Non so se sono pronta a vedere il mondo esterno, perché poi dovrei vedere quello che è dentro di me.

Oh, se ho paura.Tutti i luoghi reconditi del mio essere si celano dietro una porta di ghiaia. C’è solo una serratura in centro, e solo una chiave che la possa aprire: è quasi vergognoso vedere come un qualcosa di così imponente possa essere ingannato da un meccanismo così piccolo. Eppure io ho ancora paura.

Non sono pronta ad affrontare le mie angosce, le mie insicurezze e le mie ossessioni. I miei ricordi, che cerco invano di nascondere sotto una fitta coltre di nebbia, impalpabile mia amica.

Ecco perché mi ritrovo rannicchiata su un pezzo di carta, intenta a tradurre in parole ciò che ho timore di dire a voce alta. Non so se voglio che mi senta qualcuno; dubito che qualcuno si fermerebbe davanti a una ragazza che tace le sue urla. Ma voglio essere ricordata, parola dopo parola, perché il mio silenzio viaggi attraverso scarabocchi e fogli sparsi alla rinfusa. Voglio essere ricordata per cosa gli altri pensano di ciò che non dico, non di ciò che dico. Per urlare all’unisono, ognuno nella propria bolla di vento, ognuno nella propria bufera di brina. Urlare ciò che non si dice mai perché si ha troppa paura di dirlo, inveire contro chi non si ha avuto mai il coraggio di inveire.

Ecco perché sono ancora qui, sul pavimento, la matita in mano.


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