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MARAVIGLIA - Cap.7

  • Sara Altafaj Cotrufo 3B
  • 23 gen 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 12 mar 2022

MERAVIGLIA - Cap.6

Sara Altafaj Cotrufo 3B

Mia madre è una meraviglia. Lei è quella persona che oltre ad incarnare questo concetto astruso e astratto, riesce a plasmarlo e versarlo liquido nel cuore della gente con arguti interventi e una dolcezza smisurata. Non smette mai di sorprenderti: a poco a poco, gesto dopo gesto, è sempre là ad ascoltarmi e a darmi i giusti consigli per rendere il mio mondo felice e allo stesso tempo cambiarlo per trasformarlo in qualcosa di migliore. In fin dei conti, lei è la ragione per cui mi alzo la mattina, e il mio ultimo pensiero la notte. Appoggiandomi sul soffice cuscino, sento la sua voce calma e risoluta allo stesso tempo. Un timbro che riconoscerei fra mille, perché è quello che mi riesce a smuovere il mio cuore fin nel profondo. “Lotta per quello che vuoi” dice la mia amazzone dalla melliflua voce…

La vedo spesso in sogno: io sono Diana, lei la mia Themyscira. Lei è la mia casa. Tra le sue braccia riesce a dirmi nel silenzio più assoluto che sarebbe disposta a rinunciare alla sua vita per me. Tutte le madri sono meravigliose come lei, penso. È capace di un amore infinito nel vero senso della parola e non si fa problemi a dirlo a voce alta. Tra i miei tredici e quindici anni, io sono sempre stata il suo opposto: ero sempre pronta per sputarle addosso tutta la ira repressa con velenose parole, mirate a colpire i suoi punti più deboli, resi scoperti dalla sua incapacità di spiegarsi un tale comportamento. Eppure ha continuato ad amarmi: lo dimostrava sempre, in ogni istante, in ogni posto in cui andassimo. Crescendo, ho capito che mia madre ci sarebbe stata sempre, per cui feci il possibile per ricambiare con lo stesso, se non di più. Non che mi riuscisse alla “meraviglia”, ma ci provavo: ammetto che regalarle girasoli e tempestala di baci, oltre a imparare a stare zitta quando necessario, hanno aiutato, ma la prova più grande è esserci quando più ne ha bisogno. E io ci sono stata.

Meraviglia può anche non essere una persona: per me è anche un luogo che celo gelosamente nel mio cuore. È il mio posto speciale, dove so di poter passare attimi sereni e di potermi lasciare la preoccupazione alle spalle. Penso di attendere tutto l’anno l’arrivo dell’estate proprio per questo motivo; cambio radicalmente: divento una Sara più spensierata, più libera, per certi versi. Divento la meraviglia del vivere fatta persona. Mi basta camminare lungo quella sponda, mentre un immaginario pittore celeste dipinge il cielo delle più ipnotiche sfumature del viola e del rosa. Sento i piedi affondare sempre più nella sabbia, ma la mia sensazione non è di esserne inghiottita, anzi, di farmi rendere più vicina quella perfezione che mi circonda, quasi fosse palpabile. Il vento balla e aggroviglia i miei lunghi capelli: di diverte a giocarci, accarezzando le ciocche soffici e invitandole a danzare con lui. Vi si unisce tutta la mia essenza, a questo atto: il vestito di lino che comincia a roteare, il mio sorriso che gradualmente si accende come le stelle sovrastanti. Assorbo ogni sensazione, ogni tocco, ogni suono per dimenticare il tempo, e quello sparisce completamente. È solo a quel punto che, sfinita da tutta quella meraviglia, mi accascio sulla sponda e, cullata dal rumore delle onde che si scontrano, cado in sonno profondo.

Tre mesi dopo, lo scenario è tutto diverso: conservo questo ricordo nello scomparto dei ricordi felici, ma non ne parlo con nessuno, né a casa, né a scuola. Nessuno ha provato la mia stessa sensazione di conciliazione in quel posto. Nessuno ha ricevuto una risposta in cambio. Adesso resta la memoria, che io ritengo essere il rifugio dell’essere umano, donna e uomo: ci aiuta a fuggire in un etereo spigolo dove possiamo rivivere le più grandi paure, gioie, arrabbiature e risate della nostra esistenza. È il posto felice per eccellenza, credo. Faccio ricorso a questo soprattutto all’alba, quando Barcellona è ancora immersa nel freddo sonno invernale e si rifiuta di ribellarsi alla comodità di un soffice cuscino. Questo lasso di tempo per me coincide con la organizzazione per andare a scuola: in poche parole, mi alzo, faccio il letto e mi preparo la colazione. Piccolo aneddoto: alle medie non sopportavo fare il letto, per cui cercavo di procrastinare il compito di rifarlo la mattina dandomela a gambe levate. Un giorno mia madre mi ha fermata davanti alla porta e mi ha impedito i uscire. “tu non vai da nessuna parte se prima non fai il tuo dovere, signorina”. Mi ricordo ogni singolo dettaglio di quella tragicomica scena: a costo di fare ritardo, mia madre si mise a sorvegliare che io facessi il dovuto, senza lagne o piagnistei. Feci entrambe le cose, ma questo è un dettaglio trascurabile. Fatto sta che adesso non mi sento tranquilla se prima di scendere al piano terra non ho ripiegato le coperte, messo il pigiama al suo posto, eccetera eccetera eccetera. Finite tutte le mie attività, mi metto gli auricolari e vaglio la porta di casa. Ed eccola là: l’Aurora, mia fedele compagna e il mio sollievo prima di ogni esame. Ogni mattina, la natura mi regala un dono così bello che non parer vero: è un bacio sulla guancia, uno come quelli che ti dà papà, quando ancora non si è raso e la barba pizzica la guancia, suscitando ilarità. Ecco, l’effetto del sorgere del sole nel mio cuore è proprio questo: smuoverlo con una risata, scioglierlo, avvolgerlo, renderlo suo. Ed è una meraviglia.



 
 
 

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