COP26: I risultati della conferenza annuale dell'ONU sui cambiamenti climatici
- Sophie Christiansen 3A
- 15 nov 2021
- Tempo di lettura: 3 min
I cambiamenti climatici e il riscaldamento globale sono problemi che non possono più essere ignorati.
Il continuo aumento di temperatura dalla rivoluzione industriale sta avendo conseguenze catastrofiche in tutto il mondo: innalzamento del livello del mare e progressiva scomparsa delle zone costiere, desertificazione, uragani, allagamenti con effetti disastrosi sugli ecosistemi.
Nel 2015, 196 nazioni firmarono il cosiddetto Accordo di Parigi.
Per la prima volta sia i Paesi in via di sviluppo sia le economie più avanzate concordarono di abbattere le emissioni di gas serra per controllare l'aumento delle temperature.
L’accordo stabilisce come impegno principale di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali, ma s'incentiva a limitarlo a 1,5 °C.
Purtroppo il documento finale della conferenza di Parigi da solo raccomandazioni e quindi i governi, non sentendosi obbligati, non hanno ancora pienamente agito per rispettare gli accordi presi e procedere ad una progressiva diminuzione dell’emissione dei cosiddetti “gas serra”.
Il COP26 è la 26esima edizione della conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici; la prima si è svolta a Berlino nel 1995 e da allora si tiene ogni anno.
Il COP26 è iniziata il 31 ottobre 2021 a Glasgow in Scozia e ha visto la partecipazione di circa 200 capi e rappresentanti di governi.
I grandi assenti sono stati Russia e Cina, i “grandi inquinatori”, responsabili da soli del 20% delle emissioni globali di gas nocivi.
C’erano grandi aspettative che i rappresentanti dei Governi si rendessero conto di questo problema ed arrivassero ad una soluzione finale.
L’accordo conclusivo del COP26 è stato firmato da tutte le nazioni il 13 Novembre e prevede la limitazione del riscaldamento globale a un aumento di 1,5°C rispetto ai valori preindustriali entro 2100.
Per arrivare al Glasgow Climate Pact, ci sono stati due grandi ostacoli da superare da parte dei paesi.
Il primo era il finanziamento: i paesi poveri vogliono più soldi e più a lungo termini di quanto i Paesi ricchi siano disposti a concedere per passare da un'economia basata sui combustibili fossili ad un'economia basata sulle energie pulite.
Dall’altra parte le industrie petrolifere, carbonifere ed estrattive non vogliono che si passi troppo presto alle energie pulite, limitando i loro guadagni.
Per mantenere il riscaldamento globale limitato a +1,5°C rispetto ai valori preindustriali si deve arrivare nel più breve tempo possibile alla “neutralità carbonica” (livello di emissioni 0), il che non significa che non si emettono più gas nell’atmosfera ma che per ogni tonnellata di CO2 o di un altro gas serra che si diffonde nell’atmosfera se ne rimuove altrettanta.
Anche se un documento finale firmato non è così strettamente vincolante e restrittivo sulla limitazioni delle emissioni come si sperava, tuttavia si sono raggiunti importanti risultati.
Gli Stati Uniti e la Cina per la prima volta si sono trovati d’accordo sull’emergenza climatica, e i rispettivi presidenti Xi Jinping e Joe Biden hanno presentato una dichiarazione congiunta dove si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030.
Alcuni stati la cui superficie è prevalentemente forestale come il Brasile, si sono impegnati a limitare la deforestazione.
Il presidente del consiglio italiano Mario Draghi si sta attivando per trovare un accordo di finanziamento secondo il quale i paesi più ricchi aiutino i paesi in via di sviluppo a passare da fonti energetiche inquinanti a fonti di energia pulita.
Nonostante i grandi progressi c’è stata anche una grande delusione da parte dell’India che ha voluto sostituire nelle ultime ore il termine di “phase out” (eliminazione) a “phase down” (riduzione progressiva) delle emissioni responsabili dell’effetto serra.
Alcuni passi in avanti sono stati fatti, forse ancora troppo piccoli e troppo timorosi per salvare il mondo.
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