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"IN BILICO"

  • 15 nov 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Ci lascio un pezzo di me. Uno alla volta.

Bellezza - Cap.3

Non sapevo che si potesse percepire la bellezza finchè non l’ho vista con i miei occhi: è un pensiero un po’ narcisista, lo so, eppure mi sento talmente attratta dall’idea di poter apparire piacevole agli occhi di qualcun altro, oltre che ai miei. È un pensiero che mi conforta, ogni tanto, ma sembra quasi ridicolo se messo in bocca a qualcuno: lo stesso Narciso affogò nelle acque che vedevano riflesso il suo delicato viso giusto dopo aver espresso il suo dolore. “Ingenuo, perché t'illudi d'afferrare un'immagine che fugge?”. Un’immagine fuggevole, che conta così tanto in così poco. Un sogno inafferrabile, quello del ragazzo, le cui urla rompono i versi e ci gridano: “Io, sono io! l'ho capito, l'immagine mia non m'inganna più!”. Beh, caro Narciso, ti sbagli: ti inganna ancora. Ti seduce. Ti bagna le gote di lente lacrime, ti addolora, ti fa strappare i capelli dalla disperazione, ma ti seduce. Ancora e ancora, finché non ti sei immerso in te stesso e hai capito che non tutte le forme di bellezza sono possibili e che bisogna accettare la realtà per come è. È per questo che sei ancora nel mondo, ad imparare ad essere ammirato senza adorare te stesso, nel più bel fiore che esiste.

Qualche estate fa ho letto un libro in cui due giovani dichiaravano il proprio amore l’uno verso l’altro leggendo una descrizione senza aggettivi. Un’idea che poteva essere buttata al vento, ma che entrambi hanno colto al volo rimodellando l’immagine dell’amato con curiose osservazioni e melensi rime. Vorrei cercare di fare lo stesso, ma cambiando destinatario: la Bellezza. Comincio.

Mi sorprende come ogni volta che provo a catturarti, te scappi. Ma quando ti fermi, io fuggo via per evitare di scoprire una verità che magari non corrisponde a quello che mi aspetto. Alla fine, scorriamo sempre su binari che non si incrociano mai: ti sento, ti percepisco, ma non ti tocco. Mai. Eppure, viaggi negli occhi della gente, ti immergi nelle fossette, illumini la giornata degli artisti. Sei lo squarcio di luce che non riesco mai a cogliere, e allo stesso tempo un’ombra in mezzo alla stanza. L’ossimoro della mia vita.

Forte, no? Confesso che la stesura di queste novantadue parole mi ha impegnato più del previsto, ma ne vado fiera: non che ci sia una ragione specifica, ma i professori, alle medie, chiedono spesso quali siano dei sinonimi dell’aggettivo “bello” per descrivere qualcuno. Suppongo che si siano sentiti fieri di veder spuntare tante mani impazienti in aria, ma nessuno di noi era capace di fare un lavoro del genere. Col tempo ho capito che se si vuole capire una cosa, la si deve guardare da tutti i punti di vista, e la Bellezza non può che essere il perfetto oggetto di studio. Pur essendo un concetto a noi noto, l’esistenza lo ha reso talmente vario che ormai quelli del ventunesimo secolo si affidano a canoni di bellezza passeggeri, il cui unico fine è di essere rimpiazzati da altri ed altri ancora, il che si traduce in sterili menti artistiche e mode vergini.

Persiste, inoltre, un’altra sfaccettatura, più dolorosa e probabilmente difficile da accettare: quella dell’ossessione. Da sedicenne, posso confermare che molte adolescenti come me non fanno altro che pensare alla propria esteriorità: la bellezza del proprio corpo, tanto delineato dagli scalpelli degli scultori e pieno di poesia scritta sulla pelle è come veicolata dall’esterno verso una vera e propria ossessione per l’apparire. Futile, a mio parere, ma a cui anche io sono stata “succube” per diverso tempo: forse per la speranza di essere accettata per qualcuno che non ero, forse perché non sopportavo l’idea di sentirmi tagliata fuori, fatto sta che non ero più la ragazza di un tempo. Quella incurante dell’opinione altrui, la Sara ribelle e orgogliosa che tutti conoscevano. Mi stavo rinchiudendo in una sorta di gabbia d’oro forgiata dalle mie stesse mani. Quando mi sono resa conto della gravità della cosa, non ho esitato a tornare quella che ero, a raggiungere la bellezza che avevo. La vera bellezza, piena di verità e di sé.

“Io, sono io! l'ho capito, l'immagine mia non m'inganna più!

Per me stesso brucio d'amore, accendo e subisco la fiamma!

Che fare? Essere implorato o implorare? E poi cosa implorare?

Ciò che desidero è in me: un tesoro che mi rende impotente.

Oh potessi staccarmi dal mio corpo!”

OVIDIO, METAMORFOSI, III, versi 463-467.


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