top of page

POP ART: il sogno americano.

  • giscliceoamaldibcn
  • 25 apr 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Lunedì scorso, 19 aprile, le classi quarte hanno assistito a una mostra al Caixaforum, intitolata “El sueño americano”, che espone la nascita ed evoluzione della Pop art, in corrispondenza allo sviluppo e crescita economica dell’America artefice

del “mito americano”. La mostra partiva dagli anni cinquanta, un dopoguerra che, come quello dei “gloriosi anni 20”, per l’America non implicó una grave crisi, e rapidamente, attraverso il taylorismo (tecnica del lavoro in catena, per una produzione di massa) e un alto consumismo, il capitalismo americano si rimesse subito a brillare.

Warhol, "Vote McGovern", 1972

La produzione di massa continuava a crescere e insieme al consumismo crebbe esponenzialmente anche il marketing. Il “sogno americano” sottintendeva soldi, una famiglia con un uomo in smoking con un retribuente lavoro, una bellissima donna che si occupava della casa con comodissimi elettrodomestici, bambini altrettanto belli e diligenti con i piú nuovi giochi, una macchina, una bella casa in cui fare una barbecue la domenica con i vicini… insomma, una vita piú che idealizzata, che implicava la necessità di comprare tutti questi oggetti, macchina, barbecue… per essere felici. Questo ideale promuoveva il consumismo, e a sua volta i prodotti nelle loro pubblicità promuovevano questo ideale. Insomma, un perbenismo diffuso in tutto il paese, una facciata patriotica, moralmente buona, fisicamente bella, felice e benestante, che nasconde dietro la spinta vorticosa al consumismo di massa e ogni frustrati dietro maschere apparenti. Cosí nasce la popart, in Inghilterra, osservando da lontano il sogno americano con Hamilton e il suo collage “just what is it that makes today's homes so different so appealing”. Il popart si nutre della quotidianeità, popolarità: usa ritagli da riviste e pubblicità per fare collage, oppure usa le stesse tecniche dei cartelli pubblicitari, a basso costo e che permettevano di stampare piú copie, per ricreare, criticamente e ironicamente, la produzione di massa “anche nell’arte”. Lichtenstein limitava i suoi colori principali a 4 come quelli permessi dalle stampanti all’epoca, e usava i “Ben-Day dots”, una tecnica che riempiva uno spazio con colore stampandoci molt piccoli puntini, permettendo di risparmiare tinta. Ammirava come nei comic dei ‘50 venissero condensati argomenti come amore e guerra, spesso in una sola vignetta particolarmente significativa, che l’autore riprendeva, reinterpretava, ritagliava…

Per i critici quest’arte non aveva né testa né piedi, era uno scandalo usare mezzi cosí basilari, riprendere elementi cosí semplici come una pubblicità, un fumetto… o almeno cosí pensarono i primi. Poco a poco la popart crebbe, crebbe il suo pubblico e il riconoscimento, venne accompagnata dall’iperrealismo verso la fine del secolo, ma anche dalla semplicità di un foglio riempito da linee fatte a matita, a mano libera, parallele. Il sogno americano, l’esplosione dei prodotti di consumo e il marketing diedero piede a una forma di arte che cambiò le cose, con nuove tecniche, nuovi oggetti, una nuova critica alla società: Warhol stesso disse “quando capisci il pop, non potrai mai vedere un cartello nello stesso modo. Quando pensi pop, non potrai mai vedere America nello stesso modo”.

Hamilton “just what is it that makes today's homes so different so appealing”






Lichtenstein, "Girl/Spary can from Walasse. 1cent Life" 1963









Ed Ruscha, "Standard station", 1966

Comentarios


Publicar: Blog2_Post
bottom of page